Illegittima occupazione di suolo pubblico per finalità commerciali – Cumulo delle sanzioni amministrative – Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. n. 2692 dell’11 Aprile 2022.

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Il Consiglio di Stato con la Sentenza n. 2692 dello scorso 11 aprile 2022, nel sostenere il cumulo delle sanzioni amministrative concorrenti per chi viola le disposizioni in materia di occupazione di suolo pubblico, ha definitivamente sancito la diversità delle previsioni sanzionatorie contenute nel Codice della Strada e nella L. n. 94/2009, fissando, il linea con l’intento del Legislatore, la piena autonomia operativa delle due norme sul piano dei presupposti applicativi, della natura dei poteri esercitati e, di conseguenza, anche sotto il relativo profilo processuale.

Il caso sotteso all’esame del Giudice Amministrativo atteneva ad una occupazione abusiva di pubblica strada, con sedie e tavolini da parte di un bar della Capitale.

In particolare, in sede di accertamento e contestazione della illegittima occupazione la Polizia Municipale aveva irrogato la sanzione pecuniaria, ai sensi e per gli effetti dell’art. 20 del Codice della Strada, nonché dato corso all’avvio delle procedure, ex art. 3 della Legge n. 94 del 2009, poi confluite nell’ordine da parte dell’Ente Comunale di chiusura del locale per giorni cinque.

Invero, accadeva che la sanzione amministrativa pecuniaria emessa ai sensi del Codice della Strada veniva di seguito opposta ed annullata dal Giudice di Pace, per assenza di responsabilità del titolare dell’impresa in quanto, a dire di detto Organo Giudicante, l’occupazione era stata posta in essere in maniera del tutto autonoma dal dipendente del bar e non dal suo titolare che, invece, non aveva realizzato alcuna condotta abusiva.

Di converso, il Tribunale Amministrativo Regionale, confermava la diversa sanzione irrogata, ex art. 3 della L. n. 94/2009, consistente nella chiusura per cinque giorni del bar, ritenendo non provata l’assenza di responsabilità dello stesso titolare dell’esercizio pubblico  rispetto all’agire del proprio dipendente, atteso che in applicazione del principio della “responsabilità indiretta” (art. 2049 c.c.), l’imprenditore è comunque responsabile per il fatto commesso dai propri collaboratori nell’esercizio delle incombenze a cui questi sono adibiti all’interno dell’azienda.

Di qui la pronuncia del Consiglio di Stato, considerato che la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale veniva opposta in sede di gravame da parte del titolare del bar.

Benvero, il Giudice di secondo grado nel risolvere il caso di specie pone alla base del suo ragionamento logico-giuridico l’analisi dell’art. 3, comma 16, della Legge 15 luglio 2009, n. 94, recante: “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” laddove dispone che «fatti salvi i provvedimenti dell’autorità per motivi di ordine pubblico, nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico» previsti dall’art. 633 del c.p e dall’art. 20 del Decreto Legislativo 30 Aprile 1992, n. 285 (Nuovo Codice della Strada), «il Sindaco, per le strade urbane, ed il Prefetto, per quelle extraurbane o, quando ricorrono motivi di sicurezza pubblica, per ogni luogo, possono ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti e, se si tratta di occupazione a fine di commercio, la chiusura dell’esercizio fino al pieno adempimento dell’ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni».

Ebbene, con specifico riguardo alla diversa disposizione di cui all’art. 3, comma 16, della Legge n. 94 del 2009, il Consiglio di Stato in plurime occasioni ha affermato sul tema come «la norma in questione, per quanto qui interessa, autorizza il Sindaco ad ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi in caso di indebita occupazione di suolo pubblico, in ragione dell’interesse pubblico generale da tutelare consistente nella piena fruibilità delle strade urbane da parte di tutti i cittadini indistintamente; per altro la chiusura dell’esercizio per un periodo di cinque giorni, qual è quella disposta in danno dell’esercizio dell’appellante, rappresenta la misura minima della sanzione in caso di occupazione indebita di suolo pubblico per fini commerciali» (Cons. Stato, Sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5066). Ed ancora che, la stessa disposizione garantisce «un mimino di effettività per contrastare efficacemente il deprecabile fenomeno dell’abusivismo nel settore qui considerato» (Cons. Stato, Sez. V, 3 febbraio 2015, n. 501), decisione questa in cui il Collegio conclude in tal senso: «con la Legge n. 94/2009 il Legislatore ha introdotto un’ulteriore sanzione rispetto a quella pecuniaria e ripristinatoria previste nel Codice della Strada per le occupazioni abusive di suolo pubblico poste in essere a fini di commercio, ovvero la chiusura dell’esercizio commerciale, aggiuntiva rispetto a quelle disposte all’art. 20 del Codice della Strada e che non è stata introdotta dal Legislatore per motivi di sicurezza pubblica, bensì per contrastare, come detto, forme di abusivismo».

Da quanto sinora riportato emerge, dunque, che: l’art. 20 del Codice della Strada risponde ad esigenze di pubblica sicurezza in senso stretto. Diversamente, l’art. 3, comma 16, della Legge n. 94 del 2009 risulta, invece, preordinato a garantire la piena pubblica fruibilità di certe aree di pregio dei centri urbani e, dunque, ad evitare degenerativi fenomeni di “abusivismo commerciale”. Di qui la piena autonomia delle due previsioni sanzionatorie sul piano dei presupposti applicativi, della natura dei poteri esercitati e dunque delle conseguenze di natura anche processuale, atteso che con la medesima pronuncia il Consiglio di Stato ha rilevato, altresì, la sussistenza del Giudice Amministrativo in tema di ordinanze di chiusura, poichè la Legge n. 94/2009, assegna al Sindaco un potere discrezionale di irrogare detta tipologia di sanzioni.

Da ultimo, nel pronunciarsi anche sul rapporto tra le diverse sanzioni il Consiglio di Stato rileva, altresì, l’assenza di caducazione automatica della sanzione della chiusura (ex L. n. 94/2009) in conseguenza dell’annullamento della sanzione pecuniaria (art. 20 C.d.S.) sulla scorta della diversa natura della prima norma introdotta dal Legislatore non per motivi di sicurezza pubblica, ma per contrastare qualsiasi forma di abusivismo commerciale, traducendosi di fatto in un’ulteriore sanzione rispetto a quella pecuniaria e ripristinatoria previste nel Codice della Strada.

Per completezza di esposizione, si rappresenta, infine, che sempre in materia di illegittima occupazione di suolo pubblico per finalità di commercio il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sulla scia della decisione del Consiglio di Stato in rassegna, ha affermato con la ulteriore Sentenza n. 4853 del 21 aprile 2022, come in caso di occupazione abusiva di suolo pubblico, il pagamento delle somme corrispondenti al canone unico patrimoniale non ha alcun effetto sanante. Precisamente, secondo il Tribunale Amministrativo, dette somme valgono solo a compensare l’occupazione sine titulo, non assurgendo alcuna valenza di rilascio positivo della concessione, né di suo rinnovo.

Pertanto, in caso di occupazione abusiva di suolo pubblico è dovuto sia il pagamento del canone, sia la sanzione di cui all’art. 20 Codice della Strada con relativa sanzione accessoria di ripristino dello stato dei luoghi, oltre alla irrogazione, per la medesima occupazione, anche del provvedimento di chiusura del locale ex art. 3, comma 16, della Legge n. 94 del 2009, in quanto trova piena applicazione il principio del cumulo delle sanzioni amministrative concorrenti sancito dal Consiglio di Stato con la sentenza in commento.

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