IL DISTURBO DELLE OCCUPAZIONI O DEL RIPOSO DELLE PERSONE PROVOCATO DA EMISSIONI SONORE IN APPARTAMENTO

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gaetano alborino (1)

La colpa dei figli (maleducati) ricade sul genitore

Ha suscitato un discreto clamore la recente sentenza della Suprema Corte, terza sezione penale, 15 dicembre 2016, n. 53102.

Diciamo la verità: non avesse riguardato le vicende di un personaggio molto noto, come il direttore del Tg 5, Clemente Mimun, forse nemmeno saremmo stati qui a commentarla, dato che i principi enunciati non presentano spunti ermeneutici granché rilevanti.

La condanna dei giudici ermellini, che, trattandosi di reato contravvenzionale, ha incredibilmente schivato la prescrizione, muove da un ricorso proposto da Mimun, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma, di conferma della sentenza del Tribunale di Roma, di condanna per il reato di cui all’art. 659 cod. pen.

A scanso di equivoci, va detto subito che il disturbo della quiete dei vicini, che ha integrato gli estremi del suddetto reato, non è stato materialmente provocato dal famoso e attempato giornalista, bensì dal proprio figlio minore ultraquattordicenne, con emissioni sonore prodotte, nel proprio appartamento, da un impianto stereo.

I giudici di merito già avevano chiaramente ed analiticamente riportato gli elementi di prova (richiamando le deposizioni dei testi appartenenti alla Polizia Municipale), per mezzo dei quali si era appurato che i rumori erano stati percepiti ben al di là addirittura dell’ambito condominiale. Per la precisione, ad ottanta metri di distanza dal condominio.

Sicché in tale contesto, è apparsa, anche a giudizio della Suprema Corte, del tutto corretta l’ulteriore affermazione della sentenza impugnata, secondo cui «il fatto che solo due persone avessero sporto denuncia, non poteva evidentemente incidere sulla sussistenza del reato».

Riguardo poi alla responsabilità del giornalista per il fatto commesso dal figlio minore, la Suprema Corte ha posto in evidenza la posizione di garanzia data dall’esercizio della potestà genitoriale sul figlio minore, come peraltro correttamente evocata dai giudici d’appello:

«L’art. 40, comma 2, cod. pen. prevede che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo” e non può esservi dubbio che tra gli obblighi giuridici richiamati da tale norma debba ricomprendersi anche quello discendente dalla responsabilità genitoriale nei confronti dei figli minori, essendo i genitori “responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori…” secondo quanto previsto dall’art. 2048 cod. civ..

Va infatti chiarito come da tale disposizione discenda un obbligo di sorveglianza che, senza escludere la concorrente responsabilità del minore ultraquattordicenne e capace di intendere e di volere, non può non radicare una responsabilità anche del genitore in tutti i casi in cui un tale obbligo sia rimasto inadempiuto, solo restando salva la possibilità, espressamente consentita dal comma 3 dell’art. 2048 cit., di provare di non avere potuto impedire il fatto.

Si è del resto ulteriormente chiarito che la responsabilità dei genitori per i fatti illeciti commessi dal minore con loro convivente, prevista dall’art. 2048 cod. civ., è correlata ai doveri inderogabili posti a loro carico all’art. 147 cod. civ. ed alla conseguente necessità di una costante opera educativa, finalizzata a correggere comportamenti non corretti ed a realizzare una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza e della protezione della propria ed altrui persona da ogni accadimento consapevolmente illecito».

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