Fermi un veicolo, accerti che non è assicurato, non sanzioni né sequestri; tranquillo, non è abuso d’ufficio se il conducente non è un amico.

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Potrebbe essere come traccia di un concorso:

“Tizio, quale comandante della Stazione CC., nell’esercizio delle sue funzioni, in violazione di quanto prescritto dall’art. 193 C.d.S., avendo riscontrato nel corso di un controllo su strada che un’autovettura era priva di assicurazione RCA obbligatoria, ometteva di contravvenzionare il conducente e procedere al sequestro amministrativo dell’autovettura, così intenzionalmente procurando al predetto condicente un ingiusto vantaggio patrimoniale”.

A questo punto la traccia si completerebbe con l’inciso: “proceda il candidato ad individuare in quali reati sia incorso l’ipotetico autore della condotta omissiva descritta”.

In vero aspetto grottesco della fattispecie è, tuttavia, il seguente: Non si tratta di un caso teorico, ma di un fatto realmente accaduto e giudicato con la sentenza Cass. pen. Sez. VI, 11-10-2017, n. 46788.

La Cassazione ritiene, sul punto, che “nel delitto di abuso d’ufficio, per la configurabilità dell’elemento soggettivo è richiesto che l’evento costituito dall’ingiusto vantaggio patrimoniale o dal danno ingiusto sia voluto dall’agente e non semplicemente previsto ed accettato come possibile conseguenza della propria condotta, per cui deve escludersi la sussistenza del dolo, sotto il profilo dell’intenzionalità, qualora risulti, con ragionevole certezza, che l’agente si sia proposto il raggiungimento di un fine pubblico, proprio del suo ufficio (Sez. 6, n. 18149 del 07/04/2005, Fabbri ed altro, Rv. 231343); ancora, la prova dell’intenzionalità del dolo esige il raggiungimento della certezza che la volontà dell’imputato sia stata orientata proprio a procurare il vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto. Tale certezza non può provenire esclusivamente dal comportamento “non iure” osservato dall’agente, ma deve trovare conferma anche in altri elementi sintomatici, quali la specifica competenza professionale dell’agente, l’apparato motivazionale su cui riposa il provvedimento ed i rapporti personali tra l’agente e il soggetto o i soggetti che dal provvedimento ricevono vantaggio patrimoniale o subiscono danno”.

In pratica, la Corte, ha annullato (con rinvio) la sentenza di condanna per abuso d’ufficio, in quanto pare che si sia omesso di motivare “sulla intenzionalità favoritrice rispetto ad una condotta tenuta nel corso di un occasionale controllo su strada nei confronti di un soggetto privo di relazioni con il ricorrente ed a seguito del quale non fu comunque consentita la prosecuzione della marcia del veicolo”.

A me pare una conclusione scellerata; quasi a dire: “se la multa non la fai ad uno sconosciuto, va bene, se non la fai ad un amico, meriti di essere condannato”; invero, una prospettiva avvilente.

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