Cani e sudiciume in abitazione, sequestro amministrativo e giurisdizione.

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Cani e sudiciume in abitazione, sequestro amministrativo e giurisdizione.

I NAS dei Carabinieri di Alessandria effettuavano un’ispezione presso un’abitazione; nel corso dell’ispezione rilevavano la presenza di 29 cani e, ritenutane la detenzione in condizioni incompatibili con la natura degli animali per numero, condizioni di custodia e promiscuità, ne ordinavano il sequestro amministrativo.  I cani venivano affidati in custodia all’Ente Nazionale Protezione Animali di Ovada; il sequestro veniva convalidato con ordinanza del direttore del corpo di polizia municipale. Avverso l’ordinanza di convalida gli opponenti presentavano opposizione che, con il provvedimento n. 648/2011, veniva parzialmente accolta, consentendo ai ricorrenti di tenere presso di sé 5 cani a scelta e confermando per il resto il provvedimento opposto. Insorgono innanzi al TAR del Piemonte gli interessati, lamentando che il provvedimento impugnato (che ha, in parte qua, confermato il sequestro) è invalido ed inefficacie, oltre che afflitto da carenza di motivazione, difetto di istruttoria ed eccesso di potere. A sostegno della propria tesi le parti ricorrenti producono due valutazioni di esperti (una allegata all’istanza di dissequestro presentata in sede amministrativa ed una redatta in data 30.8.2011) dalle quali emergerebbero considerazioni diverse circa lo stato di detenzione dei cani; lamentano inoltre che il provvedimento impugnato sarebbe contraddittorio là dove, da un lato, ha confermato il ritenuto cattivo alloggiamento degli animali e, dall’altro, ha pur consentito agli interessati di mantenerne cinque. Lamentano inoltre la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 320 del 1954 e della L. n. 281 del 1991, in combinato disposto con l’art. 6 del DPRG n. 4359/1993, recante regolamento di attuazione delle L.R. Piemonte n. 34 del 1993; in particolare la legge regionale e il relativo regolamento di attuazione non vieterebbero in sé la detenzione di più di cinque cani, fatti salvi la tutela dell’igiene pubblica e il benessere degli animali; l’autorizzazione sanitaria, inoltre, sarebbe necessaria solo per i cani detenuti a scopo di allevamento, ricovero, pensione, commercio, addestramento, mentre i ricorrenti hanno detenuto gli animali a solo scopo affettivo. Lamentano da ultimo la violazione e falsa applicazione degli artt. 50 e 54 del D.Lgs. n. 267 del 2000, non sussistendo nel caso di specie presupposti di urgenza tali da legittimare il provvedimento impugnato. Nel giudizio che ne è scaturito si è costituito il comune resistente deducendo che, già in epoca precedente ed in seguito a lamentele dei vicini, il servizio veterinario di igiene e sanità pubblica della ASL competente aveva effettuato un sopralluogo presso la proprietà dei ricorrenti, riscontrando una situazione critica; il comune aveva quindi emesso un’ordinanza, con la quale aveva prescritto ai ricorrenti di provvedere allo sgombero di materiali ivi accumulati, alla pulizia e disinfezione dell’area e ad una manutenzione adeguata. L’ordinanza rimaneva inottemperata. In seguito a nuovi esposti veniva effettuato un sopralluogo da cui scaturiva il verbale poi oggetto di convalida e successiva opposizione. La fase esecutiva del provvedimento impugnato appariva piuttosto travagliata in quanto la proprietà dapprima rifiutava l’accesso, quindi non interveniva spontaneamente. Nella vicenda interveniva anche la Procura della Repubblica, che disponeva l’ispezione dell’abitazione e l’adozione di tutti i provvedimenti necessari per l’esecuzione degli atti impugnati; nel contesto di un nuovo sopralluogo venivano individuati ulteriori 14 cani, oltre ai 29 già oggetto dei provvedimenti impugnati; i cani risultavano convivere con ratti, con i quali condividevano cibo ed acqua, oltre che essere affetti da patologie comportamentali.

Rispetto a questa cornice, il.A.R. Piemonte, Torino, Sez. II, 29/12/2017, n. 1378, tendenzialmente si “smarca” dalla necessità di entrare nel merito della questione, chiarendo che: “La giurisdizione sul provvedimento di convalida del sequestro cautelare amministrativo spetta al giudice ordinario, inerendo ad un procedimento volto all’irrogazione di sanziona amministrativa; né l’atto che dispone la misura cautelare; né il provvedimento di rigetto dell’opposizione in sede amministrativa contro la medesima (ovvero dell’istanza di dissequestro) sono impugnabili in sede giurisdizionale, mentre l’accertamento dell’illegittimità della suddetta misura può essere richiesto con ricorso ex art. 22 della legge n. 689/1981 contro il provvedimento di confisca”.

La pronuncia, tuttavia, non è priva di pregio, per quanto sia di interesse per i cultori dell’illecito amministrativo.

Il Tribunale amministrativo si esprime sulla natura giuridica dell’atto di conferma del sequestro amministrativo da parte dell’autorità di cui all’art, 18 della L.n°689/1981 a fronte di ricorso dell’interessato e sul rapporto tra detta convalida e l’esigenza della confisca.

Secondo il Collegio: “In sostanza il provvedimento confermato in sede di opposizione resta una provvedimento di natura cautelare, destinato a perdere automaticamente efficacia ove non intervenga la confisca – che lo assorbe- e comunque nel massimo termine di sei mesi”.

Ancora di utilità restano le seguenti parole:

“Peraltro, la stessa Corte di Cassazione ha affermato che né l’atto che dispone la misura cautelare, né il provvedimento di rigetto dell’opposizione in sede amministrativa contro la medesima (ovvero dell’istanza di dissequestro) sono impugnabili in sede giurisdizionale, mentre l’accertamento dell’illegittimità della suddetta misura può essere richiesto con ricorso ex art. 22 della L. n. 689 del 1981 contro il provvedimento di confisca” (Cass., sez. III, 9 agosto 2000, n. 10534)” (Tar Veneto n. 834/2014)”.

 

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