Cartelloni pubblicitari abusivi

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Con ordinanza n. 50538, la settima sezione penale della Corte di Cassazione dispone in merito al reato di cui all’art. 633 CP per avere collocato cartelloni pubblicitari senza il permesso dell’autorità comunale.

La Corte ritiene che colui che invade un pubblico spazio arrecando anche pericolo o pregiudizio alla cartellonistica stradale, deve rispondere sia del reato di cui all’art. 633 cod.pen. che dell’illecito amministrativo.

Al proposito vale il principio secondo cui l’illecito amministrativo previsto dall’art. 20 del D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285 (occupazione della sede stradale) non esclude la configurabilità del delitto di cui all’art. 633 cod. pen., trattandosi di norme che agiscono su piani diversi, essendo poste la prima a tutela della sicurezza della circolazione stradale, l’altra a difesa del patrimonio.

Corte di Cassazione Penale sez. VII 8/11/2018 n. 50538

Cartelloni pubblicitari

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

La CORTE di APPELLO di CALTANISSETTA, con sentenza in data 16/03/2017, riformando la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di GELA, in data 25/05/2015, nei confronti di DMF condannava il predetto in relazione al reato di cui all’ art. 633 CP per avere senza autorizzazione collocato due cartelloni pubblicitari senza il permesso dell’autorità comunale.

Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, tramite il proprio difensore di fiducia cassazionista, deducendo i seguenti motivi:

– violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità dell’imputato affermata con pronuncia di totale riforma della sentenza assolutoria di primo grado;

– violazione di legge e difetto di motivazione quanto alla esclusione dell’ipotesi specializzante di cui all’art. 23 codice della strada.

Il ricorso è inammissibile perché manifestamente non fondato.

Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944; tra le più recenti: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).

Il primo motivo proposto tende, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento evidenziando gli elementi di prova sulla base dei quali affermare che i cartelloni pubblicitari fossero stati installati dalla società di cui era legale rappresentante il ricorrente e ciò sulla base di precise emergenze delle deposizioni testimoniali citate.

Quanto al secondo motivo lo stesso è parimenti manifestamente infondato posto che il giudice di appello motiva ampiamente sulla qualificazione giuridica dei fatti sottolineando come l’illecito amministrativo di cui all’art. 23 codice della strada abbia certamente diversità di bene giuridico protetto, la circolazione stradale, rispetto a quello tutelato dall’art. 633 cod.pen. che viceversa tutela la proprietà immobiliare anche pubblica. Appare pertanto evidente che chi abbia con la propria condotta invaso un pubblico spazio arrecando anche pericolo o pregiudizio alla cartellonistica stradale dovrà rispondere sia del reato di cui all’art. 633 cod.pen. che dell’illecito amministrativo citato. Al proposito vale il principio secondo cui l’illecito amministrativo previsto dall’art. 20 del D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285 (occupazione della sede stradale) non esclude la configurabilità del delitto di cui all’art. 633 cod. pen., trattandosi di norme che agiscono su piani diversi, essendo poste la prima a tutela della sicurezza della circolazione stradale, l’altra a difesa del patrimonio (Sez. 2, n. 17892 del 15/04/2015, Rv. 263766 ) cui questa corte ritiene doversi attenere.

Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla cassa delle ammende.

 

L’installazione di impianti pubblicitari è indubbiamente soggetta ad un provvedimento autorizzatorio da parte del Comune, come si evince dal chiaro tenore letterale degli artt. 3, comma 3, del d.lgs. 507/1993 e dall’art. 23, comma 4, del codice della strada, d.lgs. 285/1992, a mente del quale “la collocazione di cartelli e di altri mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di esse è soggetta in ogni caso ad autorizzazione da parte dell’ente proprietario della strada nel rispetto delle presenti norme. Nell’interno dei centri abitati la competenza è dei comuni, salvo il preventivo nulla osta tecnico dell’ente proprietario se la strada è statale, regionale o provinciale”.

 

Ora, è ben vero che, in un’ottica di agevolazione delle attività private subordinate all’assenso della Pubblica amministrazione, con l’art. 20 della I. 241/1990, in attuazione del principio del buon andamento e della semplificazione amministrativa, il legislatore ha equiparato in linea di principio il silenzio al provvedimento di accoglimento dell’istanza per l’ottenimento di un titolo abilitativo.

 

Tuttavia, la portata generale dell’istituto non è illimitata.

 

L’art. 20, comma 4, della I. 241/1990 configura ragguardevoli eccezioni a tale principio; tra esse rientra la materia della pubblica sicurezza. Proprio alla pubblica sicurezza si impronta la ratio dell’art. 23, comma 4, d.lgs. 285/1992. Nel richiedere un provvedimento espresso per l’autorizzazione dell’attività di affissione, quest’ultima norma demanda alla Pubblica Amministrazione un preciso onere di verifica circa le condizioni ed i presupposti per lo svolgimento di essa, cosicché risulta illegittima la previsione del meccanismo del silenzio assenso ad opera di fonti secondarie.

 

Per giunta, in attuazione dell’art. 20, comma 4, della I. 241/1990, il d.p.r. 26 aprile 1992, n. 300, concernente le attività private sottoposte alla disciplina degli articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, specifica i casi in cui il silenzio assume valenza significativa circa l’accoglimento dell’istanza. La normativa regolamentare è stata implementata dal d.p.r. 9 maggio 1994, n. 407 richiamato dal ricorrente.

 

Tale ultimo regolamento, all’allegato 1, punto 81, integra la tabella C del d.p.r. 300 del 1992, includendo la materia “pubbliche affissioni” in relazione al “d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 639, art. 28, comma 4”, ricollegandovi la formazione del silenzio assenso trascorsi 30 giorni dalla presentazione dell’istanza al Comune competente.

 

Nondimeno, come è agevole ricavare dal collegamento sistematico con l’art. 28, comma 4, del d.p.r. 639/1972 (peraltro abrogato) frutto del rinvio recettizio operato dal d.p.r. 407/1994, l’ambito di operatività del silenzio-assenso è limitato, giacché destinato a surrogare il consenso del Comune solo per l’ipotesi di “affissione diretta in spazi di pertinenza propri degli interessati”, mentre il provvedimento ampliativo tacito non è ammesso per il procedimento in esame, relativo alla installazione di cartelli pubblicitari su strada statale (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, III, 17 aprile 2002, n. 1490 e 16 dicembre 2004, n. 6479; T.A.R. Piemonte, I, 14 novembre 2005, n. 3523; v. anche T.A.R. Sardegna, 23 gennaio 2002, n. 56 e T.A.R. Lombardia, Milano, III, 24 ottobre 2005, n. 3891; T.A.R. Umbria, 3 febbraio 2010, n. 50).

 

Definita la cornice normativa, correttamente il Tribunale di Teramo ha disapplicato il regolamento comunale “per la disciplina della pubblicità e delle affissioni e per l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità e del diritto sulle affissioni” del 1995, per contrasto con la normativa di rango superiore, escludendo di conseguenza la formazione del silenzio-assenso.

 

Del resto, il mancato ricorso all’annullamento d’ufficio in autotutela non esonera il giudice dal sindacato sugli atti amministrativi, secondo le cadenze e gli effetti di cui agli artt. 4 e 5 All. E. I. 20 marzo 1865, n. 2248.

 

5) Quanto alla configurabilità di un legittimo affidamento in capo al ricorrente, poiché, ai sensi dell’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, per integrare l’elemento soggettivo dell’illecito è sufficiente la semplice colpa, l’errore sulla liceità della condotta, collegato alla buona fede, può rilevare in termini di esclusione della responsabilità amministrativa solo quando esso risulti inevitabile.

 

A tal fine è necessario rintracciare un elemento positivo, estraneo all’autore dell’infrazione, idoneo ad ingenerare in lui la convinzione della suddetta liceità, oltre alla condizione che da parte dell’autore sia stato fatto tutto il possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero possa essergli mosso, così che l’errore non sia suscettibile di essere impedito dall’interessato con l’ordinaria diligenza (v. Cass., 19759/2015, 16320/10, 13610/07, 11012/06, 9862/06, 5426/06 e 11253/04).

 

L’onere della prova degli elementi positivi che riscontrano l’esistenza della buona fede è a carico dell’opponente e la relativa valutazione costituisce un apprezzamento di fatto di stretta competenza del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 23019/09).

 

In tale prospettiva, la valutazione compiuta dal Tribunale di Teramo va esente da censure. Il giudice a quo ha correttamente escluso che il concorso dell’amministrazione comunale abbia avuto efficacia scusante sull’erronea credenza del privato di agire in forza di un titolo abilitativo tacito. La concomitanza di una pluralità di fattori, tra i quali l’imprudente comportamento dell’autore della violazione – da ritenersi ravvisabile nel caso in cui, in una situazione di dubbio sulla liceità dell’affissione, il privato abbia omesso di attivarsi per dissipare la situazione di incertezza – non elide il nesso tra colpa e illecito amministrativo compiuto (Cass. 1781/2008).

 

Di qui, il Tribunale ha ritenuto con motivazione completa e congrua che, in quanto fondato su un regolamento comunale illegittimo, in palese contrasto con il chiaro dato derivante dalla normativa di rango superiore, l’error iuris fosse evitabile. Il ricorrente, infatti, di fronte ad una prassi illegittima avviata dal Comune avrebbe potuto e dovuto chiedere chiarimenti alla Pubblica Amministrazione (Cass. 1781/2008) o, davanti alla persistente inerzia, attivare i rimedi giurisdizionali a sua disposizione contro il silenzio inadempimento.

 

Conforme alla giurisprudenza di legittimità, inoltre, è l’apprezzamento del giudice a quo circa l’irrilevanza del fatto per cui il Comune abbia chiesto ed incamerato la relativa imposta sulla pubblicità (Cass. 17625/2007).

 

In proposito, va soggiunto che il ricorso non fornisce alcun elemento in grado di inficiare l’impianto motivazionale, limitandosi ad invocare una rivalutazione degli elementi già apprezzati dal giudice a quo senza addurre specifici rilievi sul punto.

 

Nel dettaglio, il consolidamento della situazione di affidamento è asserzione generica, priva di un parametro che consenta al giudicante di misurare la consistenza del lasso temporale intercorso tra la presentazione dell’istanza e l’irrogazione della sanzione amministrativa.

 

Ancora, gli argomenti di parte ricorrente non superano i rilievi analitici svolti dal Tribunale circa l’incompletezza della domanda. Sul punto, la decisione del giundice a quo ha rimarcato, nella valutazione della buona fede, l’assenza di una richiesta del privato volta ad ottenere il nulla osta tecnico dell’ente proprietario della strada, letta in uno con il grado di diligenza richiesto ad un operatore professionale in rapporto al livello di affidamento rilevante a norma dell’art. 3 della I. 689/1981.

 

Infatti, in tema di illecito amministrativo, l’inevitabilità dell’ignoranza del precetto violato va apprezzata anche alla luce della conoscenza e dell’obbligo di conoscenza delle leggi che grava sull’agente in relazione alle sue qualità professionali e al suo dovere di informazione sulle norme e sulla relativa interpretazione (Cass. 18471/2014).

 

Discende da quanto sopra il rigetto del ricorso.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese in mancanza di attività difensiva dell’intimato.

Va dato atto della sussistenza delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

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1 commento

  1. Sentenza molto utile per gli operatori di polizia che , di iniziativa o su segnalazione, pongono in essere i controlli sul medesimo oggetto.

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