Commercializzare acqua esposta al sole configura un reato

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I giudici della terza sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza n. 39037 del 28 agosto 2018 hanno affermato che commette reato il commerciante che detiene per la vendita confezioni d’acqua esposte l sole anche se per un breve lasso di tempo.

LA VICENDA

Un commerciante veniva condannato dal Tribunale di Messina al pagamento di un’ammenda per aver detenuto, per la vendita, in cattivo stato di conservazione, esponendole alla luce solare, nel piazzale antistante il suo deposito, diverse confezioni d’acqua . Avverso la sentenza ricorre per cassazione dimostrando mediante la prova per testi e documentale che le confezioni d’acqua erano sul piazzale solo per il tempo necessario al trasferimento in un deposito ubicato in zona differente al punto vendita e ritenendo che il reato contestato sussiste solo se l’acqua rimane in contatto con la luce per un periodo di tempo utile a ingenerare la cattiva conservazione e lamentando che la motivazione della sentenza è mancante ed illogica. Inoltre il ricorrente sostiene che per la sussistenza del reato è necessario dimostrare che l’acqua sia rimasta esposta alla luce solare per un lasso di tempo utile ad ingenerare la cattiva conservazione. Infatti il termine di cattivo stato di conservazione induce a ritenere che la merce, in genere, debba subire un deterioramento temporale in relazione al decorso del tempo che genera il cattivo stato. Se così non fosse la norma sarebbe generica, dando rilevanza anche ad una esposizione anche breve l sole.

LA DECISIONE

Gli Ermellini rigettano il ricorso spiegando che Il reato di detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione è configurabile quando si accerti che le concrete modalità della condotta siano idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento dell’alimento, senza che rilevi a tal fine la produzione di un danno alla salute, attesa la sua natura di reato a tutela del c.d. ordine alimentare, volto ad assicurare che il prodotto giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura. Ancora, la Corte evidenzia come il divieto di esporre le bottiglie di acqua alla luce o al calore del sole già previsto nel decreto ministeriale 20 gennaio 1927 con riferimento a contenitori, come quelli in vetro, non suscettibili di subire modificazioni a seguito del contatto con luce o calore è una cautela generale che fin da allora aveva sconsigliato di esporre per un tempo significativo le bottiglie (e i contenitori) di acqua alla luce e al calore del sole. Per gli Ermellini, infatti, l’acqua è un prodotto alimentare vivo e come tale è soggetta a subire modificazioni allorché è isolata dal suo ambiente naturale e forzata all’interno di contenitori stagni che impediscono i normali interscambi che avvengono fra l’acqua, l’aria, la luce e le altre forme di energia e che modificano le relazioni che in natura l’acqua conosce allorché viene sottoposta ad aumento di temperatura o ad esposizione continua ai raggi del sole. L’esposizione, di per sé già in violazione di una regola cautelare, è dunque durata un periodo di tempo significativo, quanto meno quello necessario alle operazioni di sgombero dl deposito senza il rispetto delle garanzie igieniche imposte dalla natura del prodotto e per un lasso di tempo idoneo a generare il pericolo di alterazione del prodotto.

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