Il Comune deve pagare la la tassa di concessione governativa per l’uso dei telefoni cellulari. Questo è quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9707 del 12 maggio 2016.

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Alcuni Comuni hanno proposto  ricorso per cassazione, affidato a sei motivi (oltre a questione di legittimità costituzionale), nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza della Commissione tributaria Regionale del Veneto n. 59/18/2013, depositata in data 22/03/2013, con la quale – in controversie concernenti le impugnazioni dei dinieghi opposti dall’Amministrazione finanziaria ad istanze dei Comuni contribuenti di rimborso delle tasse di concessione governativa versate dal 2006 al 2008, assumendo i contribuenti, essenzialmente, la non debenza della tassa per la telefonia mobile, per intervenuta abrogazione tacita ad opera del D.Lgs. n. 259 del 2003.

La questione di diritto proposta dal ricorso è stata definita dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n.9560/2014, ove si è affermato che, in tema di radiofonia mobile, l’abrogazione del D.P.R. 28 marzo 1973, n. 156, art. 318, ad opera del D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, art. 218, non ha fatto venire meno l’assoggettabilità dell’ uso del “telefono cellulare” alla tassa governativa di cui all’art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641 , in quanto la relativa previsione è riprodotta nell’ art. 160 D.Lgs. n. 259 cit..

Va, infatti, esclusa – come anche desumibile dalla norma interpretativa, introdotta con il D.L. 24 gennaio 2014, n. 4, art. 2, comma 4, conv. con modif. in L. 28 marzo 2014, n. 50 , che ha inteso la nozione di stazioni radioelettriche come inclusiva del servizio radiomobile terrestre di comunicazione (“Per gli effetti dell’art. 21 della Tariffa annessa al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641 , le dipositioni dell’art. 160 del Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al D.Lgs. 10 agosto 2003, n. 259, richiamate dal predetto art. 21, si interpretano nel senso che per stazioni radioelettriche si intendono anche le apparecchiature terminali per il servitù radiomobile terrestre di comunicazione”) – una differenziazione di regolamentazione tra “telefoni cellulari” e “radio rice- trasmittenti”, risultando entrambi soggetti, quanto alle condizioni di accesso, al D.Lgs. 259 cit. (attuativo, in particolare, della direttiva 2002/20/CE , cosiddetta direttiva autorizzazioni), e, quanto ai requisiti tecnici per la messa in commercio, al D.Lgs. 5 settembre 2001, n. 269 (attuativo della direttiva 1999/5/CE ), sicchè il rinvio, di carattere non recettizio, operato dalla regola tariffaria deve intendersi riferito attualmente all’art. 160 della nuova normativa (p ar.7.2: “Non appare giustificato sostenere sul piano normativo che la tassa di concessione governativa sui telefonini sia da ritenere abrogata per il solo fatto che il codice delle comunicazioni non disciplini più l’uso dei terminali radiomobili di comunicazione (cioè i telefonini)”).

In ultimo, la Corte ha anche precisato che “in tema di radiofonia mobile, gli enti locali sono tenuti al pagamento della tassa governativa sugli abbonamenti telefonici cellulari, non estendendosi ad essi l’esenzione riconosciuta dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, art. 13 bis, comma 1, a favore dell’Amministrazione dello Stato, trattandosi di norma di agevolazione fiscale di stretta interpretazione, e attesa, ai sensi del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, l’inesistenza di una generalizzata assimilazione tra amministrazioni pubbliche, la cui configurabilità presuppone una specifica scelta (nella specie, non adottata) legislativa).

Cass, civ Sez VI – 5, Sent, 12 maggio 2016, n 9707

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