Interessantissima sentenza della Cass. pen., 01/03/2021, n. 8057 che ha fissato i principi entro i quali deve muoversi il P.U. e quali sono gli elementi costituenti la fattispecie penale, dopo la novella del D.L. n. 76/2020.
La riforma del 2020 ha voluto ridurre l’ambito di estensione della fattispecie penale, intervenendosi, rispetto alla prima delle due ipotesi di abuso d’ufficio, sulle ”violazioni” che possono assumere rilievo. Sulla scorta di quanto sopra, i lemmi: «di norme di legge o di regolamento» sono sostituiti da: «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».
Di conseguenza, in base all’attuale testo normativo, non è più sufficiente una «violazione di norme di legge o di regolamento» come nel testo previgente, ma deve trattarsi di «specifiche regole di condotta » “espressamente” previste «dalla legge o da altro atto avente forza di legge », il cui contenuto escluda peraltro «spazi di discrezionalità valutativa o applicativa».
Fin qui la norma. La decisione della S.C. in commento ha voluto, di più, restringere l’ambito di operatività della limitazione della sfera di applicabilità delle norme, circoscrivendo le situazioni rispetto alle quali possa effettivamente sostenersi che sia in discussione un apprezzamento discrezionale e, come tale penalmente non censurabile, da parte del P.U.
In altri termini la Cassazione ha fissato il principio che stabilisce che l’irrilevanza penale nell’esercizio di un potere discrezionale trova un limite allorquando tale esercizio non trasmodi in una vera e propria distorsione funzionale dai fini pubblici, assumendo cioè la forma del cosiddetto “sviamento del potere”.
Ed è quanto si verifica laddove risultino perseguiti, nel concreto svolgimento delle funzioni o del servizio, interessi oggettivamente difformi e collidenti con quelli per i quali soltanto il potere discrezionale è attribuito.
In conclusione, persiste la rilevanza penale nel caso di condotte qualificate dalla presenza di un ingiustificato favoritismo o, per converso, da finalità ingiustamente discriminatorie, nonché delle condotte che violino addirittura i «limiti esterni della discrezionalità» attribuita al pubblico funzionario.