La lezione del Consiglio di Stato sulla pubblicità Lungo le Strade (potere autorizzatorio e regolamentare).

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Molto interessante la sentenza del Consiglio di Stato (Sez. VI ) n°244 del 19 gennaio 2017, per quanti si occupano di provvedimenti autorizzatori o ripristinatori inerenti l’installazione di impianti pubblicitari su strada.

Arriva a Palazzo Spada l’appello di una società del settore che già si era vista respingere un primo ricorso dal TAR Calabria “per l’annullamento dell’ordinanza con la quale il Comune di Vibo Valentia ha ordinato alla ricorrente la demolizione di un impianto pubblicitario perché realizzato in assenza del permesso di costruire”.

La parte di interesse giuridico è sostanzialmente questa: in che misura la disciplina del DPR n°380/2001 impatta sulla speciale normativa contemplata dal codice della strada (art. 23) e del D.Lgs n°503/1997, agli effetti della soddisfazione dei requisiti di legittimazione della pubblicità, mediante impianti, lungo le strade?

Secondo la sentenza appellata, in sintesi, “il decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 (in particolare l’art. 3 che disciplina l’installazione degli impianti pubblicitari), non prevede che l’Amministrazione comunale, nel rilasciare l’autorizzazione all’installazione degli impianti, svolga anche valutazioni edilizie relative all’impatto della struttura sul territorio. Pertanto, è necessario, secondo il T.a.r., che il procedimento autorizzatorio sia “doppiato” dal procedimento, disciplinato dal decreto legislativo 6 giugno 2001, n. 380, volto ad ottenere il titolo edilizio prescritto in relazione alla natura e alle caratteristiche delle strutture”. Quindi il Consiglio di Stato viene chiamato esattamente a stabilire se occorra o meno, oltre alle altre valutazioni estetico funzionali e di sicurezza stradale insite nella legislazione speciale, anche un permesso di costruire o altro titolo edificatorio a norma del menzionato DPR n°380/2001.

Per i lettori pigri, trascriviamo immediatamente la soluzione tracciata nella sentenza in intestazione epigrafata: “L’inutile complicazione cui darebbe luogo la tesi della duplicazione dei titoli autorizzatori risulta in netta controtendenza rispetto all’esigenza, fortemente perseguita dal legislatore anche nei più recenti interventi legislativi (cfr., ad esempio, d.lgs. 30 giugno 2016, n. 126), di semplificare i procedimenti amministrativi, convogliando i titoli abilitativi necessari allo svolgimento di un’attività privata all’interno di un procedimento unitario.Gli interessi legati all’assetto urbanistico, pertanto, devono essere perseguiti dal Comune non attraverso la duplicazione dei titoli autorizzatori, ma vanno, al contrario, valutati, nel rispetto del principio di semplificazione e unicità del procedimento amministrativo, all’interno del procedimento di rilascio dell’autorizzazione prevista dall’art. 23, comma 4, codice della strada, con la conseguenza che quest’ultima autorizzazione dovrà essere negata nel caso in cui l’installazione risulti incompatibile con le esigenze urbanistico-edilizie”.

Ne è derivato, ovviamente l’accoglimento del ricorso e la repulsione di un atteggiamento amministrativo paradossale ed inutilmente complicato.

Il lettore meno pigro potrà godersi, in margine alla soluzione, la lettura della sintetica quanto completa ricostruzione della vicenda autorizzatoria degli impianti pubblicitari fatta dalla sentenza n°244/2017.

“… Alle norme del Codice della strada (d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285), … si sono presto affiancate quelle di cui al d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507 («Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province»). L’attività pubblicitaria è regolamentata dall’art. 23, comma 4, del Codice della strada, il quale prevede che la collocazione di cartelli e di altri mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di esse sia «soggetta in ogni caso ad autorizzazione da parte dell’ente proprietario della strada».  All’interno del perimetro dei centri abitati, la competenza al rilascio dell’autorizzazione è, in tutti i casi, dei Comuni, fatto salvo il preventivo nulla osta dell’ente proprietario nei casi in cui la strada appartenga al demanio statale, regionale o provinciale. Nella sostanza, chi intende esporre un mezzo pubblicitario «deve presentare la relativa domanda» all’Ente proprietario della strada, il quale rilascia apposita autorizzazione al posizionamento dello stesso (art. 53, comma 3, regolamento di attuazione del Codice della strada, approvato con d.P.R. 16 dicembre 1992 n. 495). Lo stesso regolamento di attuazione del Codice della strada fissa, poi, i requisiti tipologici degli impianti pubblicitari da allocare lungo le strade e le fasce di pertinenza (art. 48, comma 1), demandando alla potestà regolamentare dei Comuni la possibilità di prevedere ulteriori «limitazioni dimensionali» (art. 48, comma 2). Va ancora evidenziato che l’attività pubblicitaria, infatti, si esercita nel rispetto delle indicazioni e dei vincoli contenuti in due importanti strumenti di pianificazione e programmazione generale: il regolamento comunale ed il piano generale degli impianti pubblicitari. Infatti, in questa materia, l’art. 3 del decreto legislativo n. 507 del 1993 ha previsto in capo ai Comuni l’obbligo di adottare un «apposito regolamento» per l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità e per l’effettuazione del servizio delle pubbliche affissioni. Attraverso tale strumento, i Comuni sono tenuti a disciplinare le modalità di effettuazione della pubblicità e possono stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse. I contenuti essenziali del regolamento, indicati dalla legge, sono i seguenti: 1) determinare la tipologia e la quantità degli impianti pubblicitari; 2) stabilire le modalità per ottenere l’autorizzazione all’installazione; 3) indicare i criteri per la realizzazione del piano generale degli impianti pubblicitari; 4) fissare la ripartizione della superficie degli impianti pubblici da destinare alle affissioni di natura istituzionale, sociale o comunque prive di rilevanza economica e quella da destinare alle affissioni di natura commerciale, nonché la superficie degli impianti da attribuire a soggetti privati, per l’effettuazione di affissioni dirette.  Con l’adozione del piano generale degli impianti pubblicitari, il Comune provvede alla razionale distribuzione sul territorio degli impianti pubblicitari, indicando i siti ove è possibile collocare gli stessi. Come ha precisato Corte cost., 17 luglio 2002 n. 455: « La tutela interessi pubblici presenti nella attività pubblicitaria effettuata mediante l’installazione di cartelloni si articola dunque, nel decreto legislativo n. 507 del 1993, in un duplice livello di intervento: l’uno, di carattere generale e pianificatorio, mirante ad escludere che le autorizzazioni possano essere rilasciate dalle amministrazioni comunali in maniera causale, arbitraria e comunque senza una chiara visione dell’assetto del territorio e delle sue caratteristiche abitative, estetiche, ambientali e di viabilità; l’altro, a contenuto particolare e concreto, in sede di provvedimento autorizzatorio, con il quale le diverse istanze dei privati vengono ponderate alla luce delle previsioni di piano e solo se sono conformi a tali previsioni possono essere soddisfatte ».Questa ricostruzione del panorama legislativo vigente consente di ritenere che l’autorizzazione all’installazione degli impianti pubblicitari rilasciata dai Comuni in base alla disciplina speciale (segnatamente in base all’art. 23 del Codice della Strada), nel rispetto dei criteri e dei vincoli fissati nell’apposito regolamento comunale e nel piano generale degli impianti pubblicitari (a loro volta previsti dall’art. 3 d.lgs. n. 507/1993) abbia anche una valenza edilizia-urbanistica ed assolva, pertanto, alle esigenze di tutela sottesa al rilascio di un ulteriore titolo abilitativo rappresentato, secondo la tesi del Comune (fatta propria dal T.a.r.) dal rilascio del titolo edilizio secondo la disciplina di cui al d.lgs. n. 380 del 2001”.

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