La notifica della Sentenza di rigetto dell’opposizione a sanzione amministrativa non può essere impugnata.

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Il giudice di Pace di Roma  con sentenza n. 30827 del 21 settembre 2021 ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato ai sensi del D.lgs. 150/2011 avverso l’atto di notifica di una sentenza che aveva statuito la soccombenza in un giudizio di opposizione a sanzione amministrativa (nel caso di specie la sentenza era stata emessa dal Giudice di Pace di Roma il 28/05/2013).

L’atto notificato dall’Amministrazione capitolina, conformemente al dettato dell’art. 7 del D.Lgs 150/2011, dettava anche le condizioni di pagamento (peraltro in linea con gli obblighi di cui al PagoPA).

Il G.d.P., nel dichiarare l’ inammissibilità,  ha rilevato che la semplice comunicazione    con intimazione al  pagamento di  una sentenza passata in giudicato non rappresenta un  atto impugnabile ai sensi degli artt. 6 e 7 del D.lgs. 150/2011, dovendosi qualificare la stessa, semplice comunicazione diffida ad adempiere  di quanto stabilito in sentenza; Peraltro l’ atto di diffida non  è equiparabile ad  un  PRECETTO in quanto non ne presenta le caratteristiche, anche volendo ritenere tale il precetto  deve  essere  impugnato ai sensi dell’articolo 615 c.p.c.   davanti al giudice dell’esecuzione.

Insomma, una sana intimazione di “ALT” per quelli che perdono in giudizio, manco appellano la sentenza e comunque non ci vogliono stare all’obbligo di purgare, pagando, la propria colpa. La sentenza è gratificante e seria, ma l’atteggiamento medio del cittadino di questa Nazione è imbarazzante… ci si inventa di tutto e di più per non pagare quanto dovuto.

Così le Amministrazioni, che già si sono difese in precedenti gradi di giudizio, devono continuare a farlo anche nel seguito…. al grido, ricorrere, ricorrere, ricorrere, tutti ci provano… confidando nella stanchezza delle macchine burocratiche e nella bonomia dei giudici.

Stavolta… poca stanchezza e giudici seri!

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3 Commenti

    • perché dovrei essere “super parte”? e perché non dovremmo essere soddisfatti per la vittoria di tesi giuridiche condivise.

    • Essere “super partes” è dovere di chi giudica. Essere “parte” significa difendere (nei limiti posti dall’etica e dalla deontologia professionale) le ragioni della propria “parte”. Ora se una “parte” commenta una questione trattata da chi è “super partes”, vagamente traendone soddisfazione, che colpa ne ha? Vogliamo accusare la parte di comportamento antisportivo? Se la “contro parte” volesse fornire un punto di vista diverso, rappresentando l’erroneità di quanto giudicato, può farlo… se ha argomenti, cultura, spessore, tempo etc…. senza limitarsi a recensire un commento con parole misere, vagamente sprezzanti, onestamente espressive di uno stile relazionale poco adeguato alle pagine di questa rivista giuridica che è anche tavolo di confronto tra chi, in termini giuridici, voglia esprimere il proprio pensiero. Grazie

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