L’art. 131-bis codice penale è applicabile solo in casi di rilievo modesto

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affermato che l’articolo 131-bis del c.p. presuppone che le condizioni di applicabilità dello stesso non siano state escluse nel giudizio di merito, in termini espliciti o impliciti, nella ricostruzione della fattispecie e nelle valutazioni che riguardano la non punibilità.

IL FATTO

Il Tribunale di Vercelli ha condannato l’imputato ritenendolo responsabile, nella qualità di titolare della ditta, del reato di cui all’art. 137 del Decreto Legislativo 152/2006, per aver scaricato, all’interno dei propri terreni, acque reflue di derivazione industriale senza la prescritta autorizzazione. Avverso il provvedimento l’imputato ha proposto ricorso per cassazione deducendo che l’entrata in vigore del decreto con il quale è stato introdotto l’art. 131-bis c.p. in data successiva alla pronuncia resa dal Tribunale consente l’applicabilità nel giudizio di legittimità, trattandosi di norma più favorevole al reo, anche di ufficio della speciale causa di non punibilità alla contravvenzione ascritta in ragione della particolare tenuità dei fatti desumibile dalla modalità della condotta, dall’assenza di danno o di pericolo rispetto al bene tutelato, dall’autorizzazione allo scarico successivamente acquisita e dall’insussistenza di elementi relativi alla gravità dei fatti evincibili dalla motivazione dello stesso provvedimento impugnato.

LA DECISIONE

Gli Ermellini dichiarano inammissibile il ricorso in quanto ricordano che in tema di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis codice penale è intervenuta la III sezione penale della Corte di Cassazione con sentenza n. 4203 del 30 gennaio 2018. Hanno ribadito che pur rilevando che la sentenza impugnata è anteriore all’entrata in vigore del Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28, l’applicazione dell’istituto nel giudizio di legittimità, che la Corte è chiamata ad effettuare di ufficio ex art. 609, comma secondo, del codice di procedura penale trattandosi di legge sostanziale più favorevole per l’imputato ex art. 2, quarto comma del codice penale, presuppone che le condizioni di applicabilità dello stesso non siano state escluse dal giudice di merito, in termini espliciti o impliciti, nella ricostruzione della fattispecie e nelle valutazioni espresse in sentenza. La non punibilità riguardano soltanto quei comportamenti (non abituali) che, sebbene non inoffensivi, in presenza dei presupposti normativamente indicati risultino di così modesto rilievo da non ritenersi meritevoli di ulteriore considerazione in sede penale. Inoltre va rilevato che pur in presenza di una contravvenzione ricompresa fra i reati per i quali non sia prevista un pena detentiva, sola o congiunta a quella pecuniaria, superiore a cinque anni, tuttavia la pena pecuniaria nella specie inflitta all’imputato in misura superiore alla media edittale deve ritenersi di per sè sufficiente ad escludere l’applicabilità dell’invocata esimente: invero il riferimento, contenuto nella motivazione relativa al trattamento sanzionatorio, all’art. 133 c.p., senza distinzioni tra gravità del fatto e capacità a delinquere del reo, è di per sé indice di una valutazione di riprovevolezza incompatibile con un giudizio di particolare tenuità, configurandosi, perciò, l’esclusione di ogni possibile valutazione successiva in termini difformi.

 

 

Corte di Cassazione Penale sezione III, sentenza n. 4203, del 30 gennaio 2018

 

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 20.3.2015 il Tribunale di Vercelli, per quanto qui interessa, ha condannato R.C. alla pena di Euro 6.000 di ammenda ritenendolo responsabile, nella qualità di titolare dell’omonima ditta, del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137 per aver scaricato, all’interno dei propri terreni, acque reflue di derivazione industriale senza la prescritta autorizzazione.

Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando un unico motivo con il quale deduce che l’entrata in vigore del D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28 con il quale è stato introdotto l’art. 131-bis c.p. in data successiva alla pronuncia resa dal Tribunale consente l’applicabilità nel giudizio di legittimità, trattandosi di norma più favorevole al reo, anche di ufficio della speciale causa di non punibilità alla contravvenzione ascritta all’imputato in ragione della particolare tenuità dei fatti desumibile dalla modalità della condotta, dall’assenza di danno o di pericolo rispetto al bene tutelato, dall’autorizzazione allo scarico successivamente acquisita e dall’insussistenza di elementi relativi alla gravità dei fatti evincibili dalla motivazione dello stesso provvedimento impugnato.

Motivi della decisione

Il ricorso si compendia in doglianze del tutto indeterminate in ordine all’applicabilità dell’esimente prevista dall’art. 131-bis c.p. che il ricorrente si limita ad invocare richiamando elementi normativi astratti, vuoti di contenuto con riferimento alla fattispecie criminosa in concreto ascrittagli. La mancanza di specificità delle contestazioni svolte, traducendosi nella manifesta carenza di una censura di legittimità in relazione al disposto dell’art. 581 c.p.p., lett. c), rende perciò il ricorso inammissibile per genericità a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c).

In ogni caso va ribadito che tema di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis c.p., quando la sentenza impugnata è anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, l’applicazione dell’istituto nel giudizio di legittimità, che la Cassazione è chiamata ad effettuare di ufficio ex art. 609 c.p.p., comma 2, trattandosi di legge sostanziale più favorevole per l’imputato ex art. 2 c.p., comma 4, presuppone che le condizioni di applicabilità dello stesso non siano state escluse dal giudice di merito, in termini espliciti o impliciti, nella ricostruzione della fattispecie e nelle valutazioni espresse in sentenza (Sez. 6, n. 51615 del 09/11/2016 – dep. 02/12/2016, Caboni, Rv. 268557). Riguardando, la non punibilità, soltanto quei comportamenti (non abituali) che, sebbene non inoffensivi, in presenza dei presupposti normativamente indicati risultino di così modesto rilievo da non ritenersi meritevoli di ulteriore considerazione in sede penale, va rilevato che pur in presenza di una contravvenzione ricompresa fra i reati per i quali non sia prevista un pena detentiva, sola o congiunta a quella pecuniaria, superiore a cinque anni, tuttavia la pena pecuniaria nella specie inflitta all’imputato in misura superiore alla media edittale deve ritenersi di per sè sufficiente ad escludere l’applicabilità dell’invocata esimente: invero il riferimento, contenuto nella motivazione relativa al trattamento sanzionatorio, all’art. 133 c.p., senza distinzioni tra gravità del fatto e capacità a delinquere del reo, è di per sè indice di una valutazione di riprovevolezza incompatibile con un giudizio di particolare tenuità, configurandosi, perciò, l’esclusione di ogni possibile valutazione successiva in termini difformi. Come già affermato da questa Corte, “fondandosi la rilevabilità di ufficio della sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto su quanto emerge dalle risultanze processuali e dalla motivazione della decisione impugnata, allorquando in presenza di una contravvenzione punita con pena alternativa, sia stata inflitta l’ammenda in misura superiore al minimo edittale, l’entità della sanzione irrogata è di per sè incompatibile con un giudizio di particolare tenuità” (Sez. 3, n. 24358 del 14/05/2015 – dep. 08/06/2015, Ferretti, Rv. 264109).

Peraltro, la suddetta valutazione in termini di deplorevolezza della condotta incriminata trova ulteriore ed inequivoco riscontro nel diniego delle invocate attenuanti generiche che il Tribunale ha ritenuto inapplicabili in ragione non solo dei numerosi precedenti penali in capo all’imputato tali da delineare una personalità proclive al delitto, ma altresì delle modalità dei fatti e del contesto in cui gli stessi sono stati posti in essere, con esplicito richiamo degli stessi elementi di cui all’art. 133 c.p., comma 1 costituenti il parametro di riferimento per la valutazione dell’esimente relativa alla particolare tenuità del fatto.

Segue all’esito del ricorso la condanna del ricorrente, a norma dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

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