L’esercizio del diritto di difesa in un procedimento penale giustifica il reato di calunnia.

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la Corte di Cassazione  ha confermato  la sentenza della corte d’appello  di Brescia, in riforma della sentenza data 28 maggio 2020 dal Tribunale di Cremona, che  aveva  assolto l’ imputato dal reato di cui all’art. 368 c.p. (reato di calunnia) ai danni di R.L., falsamente accusato di calunnia ai danni del C. per avergli attribuito la falsa sottoscrizione a proprio nome del contratto di noleggio di una autovettura, perchè il fatto non costituisce reato perchè scriminato ai sensi dell’art. 51 c.p

Nel corso del giudizio è stata  accertata la falsità della firma del R. apposta sul contratto di noleggio nella parte relativa alla riconsegna da parte sua dell’auto di cortesia e conseguentemente la falsità della dichiarazione resa dal C., addetto alla concessionaria, che nel suo interrogatorio dinanzi alla polizia giudiziaria nell’ambito del procedimento a suo carico per il delitto di cui all’art. 485 c.p. – aveva attribuito la predetta sottoscrizione allo stesso R.. Ha tuttavia affermato che dette dichiarazioni furono rese per finalità difensive idonee a sostenere la scriminante di cui all’art. 51 c.p..

La Cassazione confermando precedente orientamenti  ha rigettato l’appello della parte civile ( parte calunniata)  ribadendo che il reato di calunnia   commesso, non esorbita dai limiti del diritto di difesa dell’imputato che affermi falsamente davanti all’Autorità giudiziaria fatti tali da coinvolgere altre persone, che sa essere innocenti nella responsabilità per il reato a lui ascritto, purchè la mendace dichiarazione costituisca l’unico indispensabile mezzo per confutare la fondatezza dell’imputazione, secondo un rigoroso rapporto di connessione funzionale tra l’accusa (implicita od esplicita) formulata dall’imputato e l’oggetto della contestazione nei suoi confronti, e sia contenuta in termini di stretta essenzialità.

La mendace dichiarazione deve costituire  l’unico indispensabile mezzo per confutare la fondatezza dell’imputazione, secondo un rapporto di stretta connessione funzionale tra l’accusa (implicita od esplicita) formulata dall’imputato e l’oggetto della contestazione nei suoi confronti, e sia contenuta in termini di stretta essenzialità, nel senso dell’assenza di ragionevoli alternative quale mezzo di negazione dell’addebito.
La Suprema Corte nell’affrontare la questione della individuazione del limite entro il quale l’imputato, nel negare la verità delle dichiarazioni accusatorie, travalichi il nesso funzionale tra tale negazione e l’attività difensiva ha mostrato di condividere “l’indirizzo secondo cui il criterio di stretta correlazione funzionale esige “che il falso addebito sia formulato in termini che non eccedano l’utilità, l’essenzialità per una efficace confutazione dell’accusa, indipendentemente dal grado di articolazione dell’indicazione accusatoria mendace”.

La parte civile ricorrente  è stata anche condannata alle spese di lite,  vecchio detto napoletano “cornut e mazziat”

 Cass 6598_2022

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