Quando lo stalking…non è stalking

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molestie-telefono-reatoInteressante sentenza della Corte di Cassazione in materia di stalking e molestie o disturbo con il mezzo del telefono.

Il caso: Tizio viene condannato per il reato di cui agli articoli 81 e 660, codice penale, perché, in esecuzione del medesimo disegno criminoso ed anche in tempi diversi, per petulanza o altro biasimevole motivo, utilizzando diverse utenze telefoniche telefonava ripetutamente sull’utenza cellulare della persona offesa, recando molestia o disturbo a quest’ultima.

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 16 settembre 2016, n. 38675, ha precisato i limiti del reato di molestie o disturbo, di cui all’articolo 660, codice penale.

II reato contestato punisce chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con il mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo.

Ai fini della sussistenza dei reato è necessario che il comportamento sia connotato dalla caratteristica della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone, o per altro biasimevole motivo, ovvero qualsiasi altra motivazione che sia da considerare riprovevole per se stessa o in relazione alla persona molestata, e che è considerata dalla norma come avente gli stessi effetti della petulanza

Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo dei reato in questione, inoltre, è sufficiente la coscienza e volontarietà della condotta che sia oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone, sicché l’elemento psicologico dei reato di cui all’articolo 660, codice penale, sussiste anche quando l’agente esercita (o ritiene di esercitare) un suo diritto, quando il di lui comportamento nei confronti del soggetto passivo si estrinsechi in forme tali da arrecargli molestia o disturbo, con specifico intento di ottenere, eventualmente per vie diverse da quelle legali, il soddisfacimento delle proprie pretese.

La fattispecie richiede sotto il profilo soggettivo la volontà della condotta e la sua direzione verso il fine specifico di interferire inopportunamente nell’altrui sfera di libertà.

Il giudice di primo grado ha ritenuto che anche se le ragioni dell’imputata a effettuare le telefonate riguardavano la possibilità di parlare con la nipote, si è dovuto considerare integrato il reato avendo di mira gli effetti che dalle chiamate erano rifluiti nella sfera della persona offesa che aveva fatto presente che “lo scopo delle chiamate… fosse in effetti irrealizzabile per l’opposizione della minore”.

Tale ragionamento, secondo la Suprema Corte di Cassazione, non rispecchia il contenuto della norma che è incentrato sulla molestia dell’atto e non sulla percezione che di esso ha il destinatario.

Cosicchè, una volta riconosciuto che le telefonate, contenute e limitate in uno strettissimo arco temporale (un solo giorno), vertevano su questioni non futili è illogico definirle petulanti e fonti di disturbo.

Per vero, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione è stato a volte affermato che tale reato non è necessariamente abituale e può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo e di molestia: in questo senso è stata ritenuta molesta anche una sola telefonata perché effettuata alle ore 23, ritenuta notturna, con il futile pretesto della richiesta di restituzione di una tuta (Cass., Sez. 1, 22/04/2004, n. 23521) ovvero, dopo la mezzanotte, perché, nella specie, si è ritenuto che l’ora della telefonata dimostrava sia l’obiettiva molesta intrusione in ore riservate al riposo, sia l’evidente intenzione dell’imputato di molestare la moglie, e non già di vedere ii bambino, come difensivamente opinato, che a quell’ora avrebbe dovuto dormire (Cass., Sez. 1, 12/11/2009, n. 36).

A questa stregua, conclude la Corte di Cassazione, nel comportamento posto in essere dalla ricorrente non è evidenziabile un fine di petulanza, né tantomeno un biasimevole motivo.

Per cui l’imputata deve andare esente da condanna per il reato di cui all’articolo 660, codice penale.

 

di Marco Massavelli

 

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