Ludopatia e distanze: tra SCIA e Licenza alternanza di pubblica possenza.

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Come ebbe a statuire la Corte di Giustizia, con la pronuncia del 12 settembre 2013: “Gli artt. 43 e 49 del Trattato C.E. non ostano a una normativa nazionale che imponga alle società interessate a esercitare attività collegate ai giochi d’azzardo l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di polizia, in aggiunta a una concessione rilasciata dallo Stato al fine di esercitare simili attività, e che limiti il rilascio di una siffatta autorizzazione segnatamente ai richiedenti che già sono in possesso di una simile concessione”. Ne deriva che l’articolo 88 TULPS che prevede l’autorizzazione del Questore per l’attività di raccolta di gioco lecito mediante apparecchi VLT ben può sommarsi all’esigenza che l’interessato, per quanto munito della menzionata licenza, presenti una SCIA. Ciò in quanto si tratti di titoli che evidentemente sono preordinati al soddisfacimento di interessi diversi. Infatti, mentre l‘autorizzazione di polizia mira al contrasto dei fenomeni di criminalità legati al mondo delle scommesse, la S.C.I.A. consente di verificare il rispetto di quegli altri interessi che devono essere tutelati nell’esercizio dell’attività commerciale in questione, tra i quali spicca quello della tutela del consumatore rispetto alla cd. “ludopatia”. In tal senso, anche l’introduzione “con Legge” delle distanze tra luoghi sensibili e luoghi di raccolta della scommessa è compatibile con l’ordinamento Comunitario, per quanto indicato dalla Consulta (cfr. Corte cost., n. 300/2011), che –in proposito- ha escluso che l’introduzione di una disciplina delle distanze in tale materia sia invasiva della competenza del legislatore nazionale in materia di ordine pubblico. È evidente, quindi, che la disciplina sulle distanze è tesa a regolamentare il fenomeno delle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell’impatto sul territorio dell’afflusso a detti giochi degli utenti. Si tratta, in definitiva, di disposizioni che non incidono direttamente sulla individuazione e sulla installazione dei giochi leciti, ma su fattori (quali la prossimità a determinati luoghi e la pubblicità) che potrebbero, da un canto, indurre al gioco un pubblico costituito da soggetti psicologicamente più vulnerabili od immaturi e, quindi, maggiormente esposti alla capacità suggestiva dell’illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni e, dall’altro, influire sulla viabilità e sull’inquinamento acustico delle aree interessate (cfr. Cons. St., Sez. VI, 11 settembre 2013, n. 4498).

Le parole sopra trascritte, sono il frutto del sapiente insegnamento del Consiglio di Stato che, con la sentenza 1 ottobre 2015, n. 4593 della Sezione V (annullando la sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, n. 149/2015) ha confermato la validità dell’ordine di divieto di prosecuzione della attività di raccolta di gioco lecito mediante apparecchi da divertimento e intrattenimento collegati alla rete telematica, impartito dal responsabile SUAP del comune di Casalpusterlengo (e vietato la somministrazione nello stesso locale di alimenti e bevande, in quanto attività accessoria alla prima) con riferimento ad alcuni particolari locali che gravavano, per l’appunto, in una zona di rispetto, a tutela dell’esigenza di contrastare le ludopatie.

Invero, la materia si presta a diversi orientamenti da parte dei differenti TAR, anche in funzione della varietà della legislazione regionale che regola le distanze. Tuttavia, la sentenza epigrafata si segnala per la lucidità con cui il Collegio colloca su differenti piani la tematica della SCIA rispetto a quella della Licenza di Polizia, così differenziando ratio e poteri dei diversi enti coinvolti.

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