Merce contraffatta: ai fini della punibilità la nozione di acquirente finale fa la differenza

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Un uomo viene fermato alla guida di un’autovettura a bordo della quale trasportava in un borsone e in una busta vari capi di abbigliamento di note marche che presentavano chiari segni di contraffazione (materiali, etichette, marchi, tessuto, cuciture e serigrafie non conformi agli originali).

Quale violazione contestare?

L’ulteriore domanda è: vale il principio generale, stabilito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 22225/2012 secondo cui “L’acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata risponde dell’illecito amministrativo previsto dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in L. 14 maggio 2005, n. 80, nella versione modificata dalla L. 23 luglio 2009, n. 99, e non di ricettazione (art. 648 cod. pen.) o di acquisto di cose di sospetta provenienza (art. 712 cod. pen.), attesa la prevalenza del primo rispetto ai predetti reati alla luce del rapporto di specialità desumibile, oltre che dall’avvenuta eliminazione della clausola di riserva “salvo che il fatto non costituisca reato”, dalla precisa individuazione del soggetto agente e dell’oggetto della condotta nonché dalla rinuncia legislativa alla formula “senza averne accertata la legittima provenienza”, il cui venir meno consente di ammettere indifferentemente dolo o colpa”?A tali questioni pratico-operative risponde la Corte di Cassazione Penale, con la sentenza n. 12870 del 30 marzo 2016.
Per acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata, di cui al D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in L. 14 maggio 2005, n. 80, nella versione modificata dalla L. 23 luglio 2009, n. 99, si intende colui che non partecipa in alcun modo alla catena di produzione o di distribuzione e diffusione dei prodotti contraffatti, ma si limita ad acquistarli per uso personale.

Di conseguenza, a seguito del nuovo contesto normativo, si può affermare che:
a) è rimasta pur sempre punibile la ricettazione di merce contraffatta ex art. 648 cod. pen. (reato presupposto art. 473 cod. pen.);

b) l’area di punibilità penale, però, si è ristretta in quanto rimangono fuori di essa gli acquirenti finali del prodotto contraffatto i quali rispondono solo dell’illecito amministrativo previsto dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in L. 14 maggio 2005, n. 80, nella versione modificata dalla I. 23 luglio 2009, n. 99.

In conclusione, quindi, la nozione di acquirente finale di merce contraffatta – che consente di escludere la punibilità ex art. 648 cod. pen. – va intesa in senso restrittivo, nel senso che per tale deve intendersi solo ed esclusivamente colui che acquisti il bene contraffatto per uso strettamente personale, e, quindi, resti estraneo non solo al processo produttivo ma anche a quello diffusivo del prodotto contraffatto. Rimangono, quindi, escluse dall’area dell’illecito amministrativo di cui all’art. 1/7 d.l. 35/2005, e restano all’interno dell’area penale di cui all’art. 648 (reato presupposto art. 473 cod. pen.), tutte le ipotesi in cui chi acquisti un bene contraffatto, non lo acquisti per sé, ma lo destini ad altri. In tali ipotesi, infatti, il soggetto agente risponde del reato di ricettazione perché, con la sua condotta, contribuisce all’ulteriore distribuzione e diffusione della merce contraffatta, essendo irrilevante se l’ulteriore diffusione avvenga a scopo di lucro (come avviene per l’ipotesi di cui all’art. 474 cod. pen.) o a titolo gratuito.

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