Non vi è l’obbligo del preavviso di rigetto in materia di Scia

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Il Consiglio di Stato, Sezione 3^, con la sentenza n. 1111/2019, che di seguito trovate allegata, ha chiarito che in ipotesi di rigetto della Scia, per violazione dei principi espressi dalla legge 241/90, art. 19, comma 3, non trova applicazione la disposizione relativa all’avvio del procedimento relativo alla comunicazione dei motivi di rifiuto dell’accoglimento dell’istanza, disciplinata dall’articolo 10-bis della medesima legge 241/90.

Pertanto, il preavviso di rigetto della Scia presentata non dovrà essere adottato ne comunicato all’interessato prima dell’adozione dei provvedimenti inibitori degli effetti della stessa segnalazione certificata,.

Il Consiglio di Stato ha  motivato tale decisione precisando che la Scia è qualificata come una autocertificazione, una mera dichiarazione di volontà di un soggetto privato di intraprendere una determinata attività ammessa direttamente dalla legge, senza che la  P.A. debba comunicare alcun consenso

Non è qualificabile, pertanto, come provvedimento amministrativo e non instaura alcun procedimento autorizzatorio destinato a culminare in un atto finale di assenso, espresso o tacito, da parte dell’amministrazione.

In assenza di tale procedimento, per conseguenza, non trova giustificazione la comunicazione di avvio del procedimento per il preavviso di rigetto o altri atti sospensivi da parte della Pubblica Amministrazione.

Si coglie, altresì, l’occasione per sottolineare che gli stessi Giudici di Palazzo Spada, in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), già in passato, con la sentenza n. 15 del 29 luglio 2011,  pronunciandosi sulla natura giuridica della DIA e SCIA e sui mezzi di tutela del terzo interessato, avevano avuto modo di definire la natura privata e non provvedimentale dell’istituto della Denuncia di Inizio Attività (DIA).

A tal proposito, ricordiamo che la legge 30 Luglio 2010, n. 122, che aveva convertito con modifiche il D. L. 78/2010, con l’art. 49, comma 4-bis, aveva modificato l’art. 19 della citata legge 241/90, introducendo l’istituto della Scia in sostituzione della DIA.

Con la predetta pronuncia, in buona sostanza, i Giudici avevano già chiarito come la natura e gli effetti della DIA/Scia non costituivano “provvedimento amministrativo a forma tacita”, non dando luogo ad un titolo costitutivo, ma esclusivamente una dichiarazione di volontà privata di intraprendere una determinata attività.

A seguito di tale pronuncia, successivamente, il legislatore, con l’art. 6, comma 1, lett. c), D. L. 138/2011, convertito con modificazioni dalla Legge 148/2011, aveva introdotto nell’art. 19 il comma 6-ter che, partendo proprio dalla considerazioni espresse con la sentenza n. 15/2011, ha confermato che la Scia e la Dia non sono provvedimenti taciti. Il terzo interessato, non potendo proporre ricorso amministrativo innanzi al TAR avverso la Scia, può far valere la propria tutela sollecitando l’amministrazione competente ad effettuare le verifiche di competenza e, in caso di inerzia, ricorrere al TAR contro l’inerzia della Pubblica Amministrazione, ai sensi dell’art. 31, commi 1, 2 e 3 del D. Lgs. 104/2010 Codice del Processo Amministrativo.

     

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