L’art. 31 comma 3 del DPR n. 380/2001, come noto, dispone che ” Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto”.
Il successivo comma 4-bis, poi, stabilisce che “L’autorità competente, constatata l’inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l’applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti.”
In realtà, la presenza di un provvedimento cautelare, nello specifico, quale il sequestro probatorio disposto dall’A.G. può essere invocato dall’autore dell’abuso per evitare la demolizione delle opere?
La giurisprudenza più recente (Tar Abruzzo, sez. I, 13/01/2022, n. 13) ritiene che l’ordine di demolizione (o di riduzione in pristino stato) adottato nella vigenza di un sequestro penale è affetto “dal vizio di nullità, ai sensi dell’art. 21-septies l. n. 241 del 1990 (in relazione agli artt. 1346 e 1418 c.c.), e, quindi, radicalmente inefficace, per l’assenza di un elemento essenziale dell’atto, tale dovendo intendersi la possibilità giuridica dell’oggetto del comando non potendo condividersi “l’assunto della configurabilità di un dovere di collaborazione del responsabile dell’abuso, ai fini dell’ottenimento del dissequestro e della conseguente attuazione dell’ingiunzione.
In altri termini, l’ingiunzione che impone un obbligo di facere inesigibile, in quanto rivolto alla demolizione di un immobile che è stato sottratto alla disponibilità del destinatario del comando (il quale, se eseguisse l’ordinanza, commetterebbe il reato di cui all’art. 334 c.p.), difetta di una condizione costituiva dell’ordine, e cioè, l’imposizione di un dovere eseguibile.
Conseguentemente, l’ordine di una condotta giuridicamente impossibile si rivela, quindi, privo di un elemento essenziale e, come tale, affetto da invalidità radicale, e, in ogni caso, inidoneo a produrre qualsivoglia effetto di diritto.
Oltretutto le misure contemplate dal citato art. 31, commi 3 e 4-bis, DPR n. 380/2001, rivestono carattere chiaramente sanzionatorio e, come tali, esigono, per la loro valida applicazione, l’ascrivibilità dell’inottemperanza alla colpa del destinatario dell’ingiunzione rimasta ineseguita, in ossequio ai canoni generali ai quali deve obbedire ogni ipotesi di responsabilità.
Val la pena evidenziare, però, i casi in cui l’ordine demolitorio o ripristinatorio sia stato adottato (e, in tal caso, validamente) in un momento in cui il bene non fosse sequestrato, ma venga invece sequestrato successivamente e nella pendenza del termine assegnato per ottemperare all’ingiunzione. Cioè l’incidenza del sequestro penale sull’efficacia dell’ordine di demolire e, derivativamente, sulla decorrenza o meno del termine a tal fine assegnato fintanto che il sequestro permanga efficace.
In questo caso, infatti, la conseguenza giuridicamente necessaria è l’interruzione o la sospensione del decorso del termine assegnato per demolire, per tutto il tempo in cui il sequestro rimane efficace.
In conclusione il venir meno del sequestro – da chiunque provocato o indotto, e anche se spontaneamente disposto dall’Autorità giudiziaria procedente – consente ex se all’Amministrazione di ingiungere o di reiterare la demolizione; ovvero produce, parimenti in via automatica, l’effetto di far cessare la causa di sospensione (o interruzione) del decorso del termine entro cui deve essere eseguita la demolizione, con ogni ulteriore conseguenza di legge in difetto (cfr. Cons. Stato, n. 2337/2017).