Il potere sanzionatorio della P.A. va esercitato in modo tempestivo, senza cioè ritardi.

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Leggere il breve studio di Ludovico mi ha stimolato. Non parlerò, tuttavia, di esecutorietà della pretesa (che è un problema successivo all’esercizio del potere sanzionatorio), ma mi diletterò a rammentare, agli uffici preposti all’adozione dei provvedimenti interdittivi di natura sanzionatoria (es.: chiusura di esercizi commerciali) che occorre rispettare sempre i tempi della legge, poiché un provvedimento tardivo è sempre minacciato dalla esposizione all’annullamento, per tardività colpevole dell’Amministrazione.

Non la porto per le lunghe e vado al sodo: T.A.R. Friuli-V. Giulia Trieste Sez. I, 14/04/2015, n. 182; Con questa pronuncia si conferma che “Il potere sanzionatorio della P.A. va esercitato in modo tempestivo, senza cioè ritardi”. Nel caso di specie, veniva disposta la chiusura di un esercizio a lunga distanza di tempo dalla fase di contestazione della violazione amministrativa. Contro tale provvedimento (integrante una sorta di sanzione accessoria indiretta ed aggiuntiva rispetto alle sanzioni pecuniarie) veniva proposto ricorso che veniva accolto, sulla scorta di una giurisprudenza condivisa dal  Collegio friulano (TAR Latina 12 marzo 2014 n 197; T.R.G.A. Trento 25 marzo 2010, n. 91; T.A.R. Puglia, Bari 2 marzo 2005, n. 917) che ha affermato il principio secondo cui il potere in questione va esercitato in tempi ragionevoli.

La chiusura veniva inflitta a norma dell’art. 5 della Legge n°50/1994. Il quesito che si sono posti i giudici è stato: quale è il regime applicabile a tale forma dell’esercizio del potere: L.241/1990 o L.689/1981?

Dalla risposta è stato facile pervenire alla conclusione sulla illegittimità del potere tardivamente speso: la materia è retta dalla L.241/1990 e ciò è reso, tra le altre cose, evidente dalla semplice lettura dell’art. 12 della L.689/1981 che generalizza la sua applicazione alla sole pretese pecuniarie della P.A.

Ad avviso del Collegio il procedimento all’esame non è soggetto alla disciplina della L. n. 689 del 1981 ma a quella della L. n. 241 del 1990 in ragione del carattere generale di quest’ultima; quindi a esso non può applicarsi la previsione dell’articolo 28 né in via diretta né in via analogica, sia poiché quest’ultima disposizione disciplina la prescrizione del credito derivante dalla sanzione (e non il termine di conclusione del procedimento sanzionatorio) sia (soprattutto) perché difetta il presupposto per l’analogia, cioè una lacuna normativa trattandosi di materia disciplinata dall’articolo 2 della L. n. 241 del 1990.Nella fattispecie, quindi, l’operato dell’amministrazione è illegittimo”.

Annullamento del provvedimento e condanna al pagamento di Euro 4.000 per soccombenza oltre alle  spese.

Pino Napolitano

 

P.A.sSiamo

 

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