Pubblicità sulle strade: recupero delle spese di rimozione degli impianti abusivi

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Interessante intervento della Corte di Cassazione in tema di pubblicità sulle strade (articolo 23, codice della strada).

Con la sentenza n. 23073 del 11 novembre 2016, la Suprema Corte ha fornito una chiara interpretazione in riferimento all’applicazione della sanzione accessoria della rimozione degli impianti abusivi e dell’intervento del Prefetto per il recupero delle spese sostenute.

Il caso riguarda l’opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione prefettizia per il pagamento delle spese sostenute per la rimozione di impianti pubblicitari installati senza la preventiva autorizzazione del Comune.

In tema di abusiva installazione di cartelloni ed altri mezzi pubblicitari costituenti fonte di pericolo o di disordine del sistema stradale, l’articolo 23, commi 13 bis e 13 quater, codice della strada, nell’attribuire agli enti proprietari delle strade o al concessionario il potere-dovere della loro rimozione, distingue a seconda che gli immobili su cui essi insistano siano di proprietà privata o pubblica (demaniale o rientrante nel patrimonio dei proprietari delle strade).

Nella prima ipotesi, l’ente deve instaurare un contraddittorio con l’autore della violazione e con il proprietario dell’area, ove risulti collocato il cartellone, diffidandolo alla sua rimozione entro dieci giorni dalla relativa notifica, e, in mancanza, può asportarlo in danno dei responsabili con recupero delle spese sostenute tramite le normali azioni civili.

Nella seconda ipotesi, e cioè nel caso di installazione su suolo pubblico, l’ente deve eseguire “senza indugio” la rimozione del cartellone e, per il recupero delle spese sopportate, deve trasmetterne la nota al prefetto, che ha il dovere di emettere ordinanza ingiunzione di pagamento (Cass. 10640/2015).

Ne discende che, in tale ultimo caso, l’ente pubblico non deve instaurare un contraddittorio con l’autore della violazione, costituendo la rimozione degli impianti installati senza autorizzazione su suolo di proprietà pubblica un atto dovuto, da compiere “senza indugio”.

Né può dubitarsi del fatto che tale ipotesi di rimozione – fondata sul carattere abusivo dei manufatti in questione – sia alternativa a quella dell’installazione pericolosa per la circolazione, prevista dal medesimo comma 13 quater dell’articolo 23, come si evince – in maniera inequivoca – dalla disgiuntiva “o” adoperata dalla norma.

La pretesa dell’amministrazione trova fondamento, nella specie, nel disposto dell’articolo 23, comma 13 quater, codice della strada, che, per il recupero delle spese sopportate per la rimozione degli impianti abusivi collocati sulla proprietà pubblica, prevede che l’autorità che effettua la rimozione deve trasmetterne la nota al prefetto, il quale ha il dovere di emettere ordinanza ingiunzione di pagamento sulla base di detta nota (Cass. 10640/2015).

Né può dubitarsi del fatto che, in tema di opposizione a sanzione amministrativa per violazione del codice della strada, le risultanze dell’ordinanza ingiunzione siano assistite da fede privilegiata ai sensi dell’articolo 2700, codice civile (Cass. 2817/2006), con la conseguenza che la quantificazione delle spese in questione, risultante dalla suddetta nota, in quanto riprodotta nell’ordinanza ingiunzione, deve ritenersi assistita dalla fede privilegiata attribuita agli atti pubblici dal citato articolo 2700, codice civile.

Chi deve sottoscrivere l’ordinanza ingiunzione prefettizia? Esclusivamente il prefetto o anche un funzionario delegato?

In tema di sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, perfino l’indecifrabilità della firma apposta in calce all’ordinanza ingiunzione non ne comporta l’illegittimità, qualora, essendo la sottoscrizione riferita nello stesso atto al titolare dell’ufficio competente ad emetterlo (o ad un suo delegato), risultano oggettivamente certi l’autore del segno grafico e la sua qualità di organo della persona giuridica pubblica, posto che in tal caso sono rese possibili l’identificazione del soggetto indicato come autore dell’atto e l’individuazione della provenienza dall’organo cui è attribuita la competenza, a meno che non venga dimostrata da colui che l’allega la non autenticità della sottoscrizione (Cass. 20686/2005).

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