Rifiuto alcoltest e resistenza a pubblico ufficiale.

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Secondo il Tribunale di Campobasso (sentenza del 12 aprile 2016) commette il reato di resistenza a Pubblico Ufficiale colui il quale, al fine di opporsi gli Agenti intervenuti, nell’esercizio delle loro funzioni, sul luogo di un incidente stradale (nel quale il prevenuto rimaneva coinvolto) per effettuare i rilievi del caso, minacci gli Agenti stessi che si accingano ad espletare, sulla sua persona, i controlli con apparecchio alcoltest, onde verificare l’eventuale stato di alterazione psico-fisica dovuto all’abuso di sostanze alcoliche.

Certo, le frasi rivolte dal prevenuto agli operatori erano tutt’altro che carine: “… che cazzo siete venuti a fare, ma chi vi ha chiamato, io mi rimetto in macchina e me ne vado a casa!” ed ancora: “… pezzi di merda, stronzi, io non ho paura di voi non sapete chi sono io, il mio avvocato vi strizza le palle e voi non valete nulla, vi stacco la testa, vi butto sotto la macchina!” ed infine. “… teste di cazzo lasciatemi tornare a casa sennò questa volta vi spacco, il mio avvocato vi distruggerà!”.

Per il giudice, sussistente è il reato di cui all’art. 186, commi 1, 2, 2 bis e sexies e 7, C.d.S. “atteso che il prevenuto si è rifiutato volontariamente di sottrarsi alla prova strumentale che avrebbe sancito lo stato di disarmonia psicofisica già accertata de visu dai militari operanti: egli, infatti, guidando la propria autovettura tra le ore 22,00 e le ore 7,00 era uscito dalla sede stradale e, alla vista dei carabinieri arrivati sul posto per garantire le sicurezza della circolazione stradale e identificare il soggetto alla guida dell’autovettura coinvolta nel sinistro stradale inveiva nei confronti dei militari operanti al fine di impedire loro di accertare il suo stato di disarmonia psicofisica, cercando di darsi alla fuga per le campagne di … e rifiutandosi di sottoporsi alla prova dell’etilometro”.

Con detto reato concorre, per quanto sopra specificato, l’art. 337 cp, in quanto: “il prevenuto, infatti, ha minacciato i due pubblici ufficiali allo scopo di intralciare la loro attività e il compimento dei doveri del loro ufficio”.

Esito: condanna a mesi SETTE di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

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