La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22161 del 6 agosto 2024, pronunciandosi sulla forzata inattività e isolamento lavorativo di una dipendente comunale, nell’evidenziare che il datore è tenuto ad evitare la prolungata esposizione del lavoratore ad un clima conflittuale, per evitare lo stress da lavoro causa di malattie, ha ritenuto che il comportamento del datore di lavoro che lasci in condizione di forzata inattività il dipendente, pur se non caratterizzato da uno specifico intento persecutorio ed anche in mancanza di conseguenze sulla retribuzione, può determinare un pregiudizio sulla vita professionale e personale dell’interessato, suscettibile di risarcimento e di valutazione anche in via equitativa.
La Corte ha evidenziato che “da parte dell’Amministrazione sia stato un comportamento violativo dell’art. 2087 cod. civ., norma che postula la rilevanza di quei doveri del datore di lavoro nei confronti dei suoi subordinati che vanno oltre il mero rispetto delle norme di sicurezza prescritte esplicitamente essendo estesi all’obbligo generale di prevedere ogni possibile conseguenza negativa della mancanza di equilibrio tra organizzazione di lavoro e personale impiegato.
La Corte aveva in altre occasioni rilevato che “E’ compito del datore di lavoro la valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004 secondo cui lo “stress da lavoro”, è definito come uno “stato, che si accompagna a malessere e disfunzioni fisiche, psicologiche o sociali” che, in caso di “esposizione prolungata”, può “causare problemi di salute” (par. 3) e che, pertanto, investe la “responsabilità dei datori di lavoro […] obbligati per legge a tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori”.
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