L’art. 574-bis è stato introdotto nel Codice Penale dalla legge n. 94 del 2009 e si inscrive in un più ampio quadro di risposte sanzionatorie che il legislatore ha inteso dare alle condotte criminose che coinvolgono i minori, tra cui figurano l’introduzione del delitto di accattonaggio con impiego di minori e le aggravanti del sequestro di persona a danno del minore o a danno del minore condotto o trattenuto all’estero.
Il reato di sottrazione di minore all’estero è stato inserito tra i reati contro l’assistenza familiare, ove è collocato anche il reato di sottrazione di persona incapace di cui all’art. 574 cod. pen., con cui condivide la tipizzazione della condotta, consistente nel sottrarre un minore al genitore esercente la responsabilità genitoriale o ritenerlo contro la volontà di quest’ultimo.
Elemento specializzante della nuova fattispecie criminosa è il fatto che la conduzione o il trattenimento vengono realizzati all’estero, lontano dal luogo di residenza o dimora abituale del minore; e per questo il legislatore ha previsto una pena più severa che va da uno a quattro anni di reclusione, mentre la fattispecie prevista dall’art. 574 cod. pen. prevede la pena della reclusione da uno a tre anni.
Dalla descrizione delle condotte e dalla stessa collocazione dei reati che sono stati inseriti tra i delitti contro l’assistenza familiare, si evince che il bene protetto è l’interesse familiare connesso all’esercizio della responsabilità genitoriale, che ha subito un’evoluzione normativa e giurisprudenziale a partire dalla riforma del diritto di famiglia di cui alla legge 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto di famiglia).
In particolare, tale riforma ha attribuito detta «potestà» ad entrambi i genitori (art. 316 del codice civile), così attuando la previsione costituzionale di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, e, all’art. 147 cod. civ., ha stabilito che l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole deve essere adempiuto tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni e delle aspirazioni dei figli.
La legge 10 dicembre 2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali) ha aggiunto, con l’art. 1, comma 8, l’art. 315-bis cod. civ. che stabilisce il diritto del figlio di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, secondo le sue capacità e inclinazioni, e ciò anche in attuazione degli artt. 2 e 30 Cost.
Rafforza questa concezione una successiva tappa normativa, costituita dall’art. 39 del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), che, nel modificare l’art. 316 cod. civ., ha sostituito alla «potestà» genitoriale la «responsabilità» genitoriale sui figli, facendo riferimento ad un concetto che non coincide più con l’esercizio di un potere, di cui il minore costituiva l’oggetto, ma rimanda all’assunzione di un ruolo che il genitore svolge nell’interesse di un altro (il minore) e per il quale è chiamato a rispondere.
L’art. 55 del .lgs. n. 154 del 2013 ha aggiunto, inoltre, l’art. 337-ter cod. civ. che prevede che entrambi i genitori, ancorché separati, restano titolari della responsabilità genitoriale, così ulteriormente valorizzando l’interesse del figlio a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con il padre e con la madre e a ricevere da loro cura, educazione, istruzione e assistenza morale.
La tutela del minore è oggetto di attenzione anche a livello internazionale e, infatti, la Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, sancisce espressamente il diritto del fanciullo ad essere allevato dai propri genitori in modo da assicurarne lo sviluppo nel pieno rispetto delle sue capacità; la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, firmata a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77, mira a promuovere, nell’interesse superiore dei fanciulli, i loro diritti (art. 1) e stabilisce che le decisioni dell’autorità giudiziaria, nelle procedure che interessano i minori, devono essere guidate dagli interessi di questi ultimi (art. 6).
La giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto che la responsabilità genitoriale va esercitata nell’interesse dei minori e, infatti, le sentenze n. 7 del 2013 e n. 31 del 2012 hanno dichiarato la illegittimità costituzionale dell’automatismo della pena accessoria della perdita della potestà genitoriale eliminandolo, proprio in considerazione della necessità di valutare in concreto, caso per caso, quale sia l’effettivo interesse del minore.
Nello stesso senso, la sentenza n. 102 del 2020 ha caducato l’automatismo della sospensione della responsabilità genitoriale proprio nel caso di condanna del genitore per il reato di sottrazione di minore all’estero di cui all’art. 574-bis cod. pen. Tale pronuncia fa espresso richiamo alla relazione illustrativa al d.lgs. n. 154 del 2013 e alla nozione di responsabilità genitoriale da essa introdotta, che è concetto più ampio della precedente potestà, consistendo, ora, in un insieme di doveri, obblighi e diritti gravanti sul genitore. In tal modo si conferma il passaggio dalla nozione di potestà attribuita nell’interesse del padre, all’epoca unico custode dell’unità familiare, a quella attuale di responsabilità genitoriale, funzionale alla protezione dell’interesse del minore.
Il mutamento della disciplina denota il rilievo pubblicistico dell’interesse protetto dai reati di sottrazione, che non è più correlato al mantenimento delle prerogative genitoriali, ma al rilevante allarme sociale determinato anche dalla difficoltà di ritrovare il minore all’estero e di ricondurlo in Italia.
Inoltre, la condotta realizzata all’estero è ben diversa da quella di cui all’art. 574 cod. pen e, quindi, non è ad essa comparabile, poiché incide non solo sull’interesse del minore a non crescere lontano da uno dei genitori o da entrambi, ma anche su quello di non vedersi sradicato dal suo originario contesto.
Pertanto, la discrezionalità del legislatore nel prevedere un diverso regime di perseguibilità dei due reati non è stata esercitata in maniera irragionevole.