Tombino sporgente, nessun risarcimento a carico del Comune al pedone che inciampa – Cass. Civ., Sez. VI, n. 11794 del 12 aprile 2022.

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Gli Enti Comunali, anche in relazione ad un sempre più diffuso degrado delle strutture stradali urbane di competenza, sono di continuo convenuti in giudizio per l’accertamento della responsabilità da omessa custodia.

Benvero, sono oramai innumerevoli i casi di condanna delle Amministrazioni Comunali al risarcimento del danno riconducibile ad ipotesi di insidia stradale aggravata dal trabocchetto (buca sulla carreggiata, tombino sporgente, pavimentazione sconnessa del marciapiede).

Nella pratica, infatti, basta una banale caduta di un cittadino su di un dislivello anche impercettibile di un tombino che è presto avviata la causa di risarcimento del danno, con coinvolgimento dell’Organo di Polizia Municipale in sede di accertamento dell’insidia, in relazione al quale il verbale di conferma della esistenza del dislivello stradale e/o dello stato della pavimentazione del marciapiede costituisce prova fino a querela di falso.

In punto bisogna considerare che, nonostante la prova dell’eventus damni, deve sempre essere dimostrata la riconducibilità eziologica dell’evento all’asserita anomalia stradale, ossia la derivazione causale del danno secondo il criterio della “adeguatezza causale”.

Infatti, in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro (Cass. n. 2480 del 2018).

In relazione al caso di specie, la Suprema Corte di Cassazione con la recentissima pronuncia n. 11794 del 12.04.2022, ha posto l’attenzione sul comportamento tenuto in concreto dal danneggiato, arrivando a stabilire che deve considerarsi decisivo il comportamento imprudente dello stesso richiedente il risarcimento qualora questi abbia con la sua azione interrotto il nesso causale tra il fatto e l’evento stesso, in modo da integrare il caso fortuito. Invero, nel giudizio sottoposto all’analisi della Corte, il tratto stradale era ben visibile, anche in ragione dell’ora mattutina, nè erano state indicate particolari condizioni atmosferiche idonee a rendere scivolosa o difficilmente percorribile la pavimentazione stradale. Infine la colorazione del tombino era più scura rispetto a quella del manto stradale, il che rendeva tutto visibile ed il marciapiede era esteso in larghezza in modo che il pedone avrebbe potuto camminare senza necessariamente passare sopra il tombino. Il percorso logico-giuridico della Corte di Cassazione, in relazione al caso in esame, è stato quello di focalizzare l’attenzione sulle condizioni di piena visibilità dell’insidia, di diversa colorazione del manto stradale, di ampiezza del marciapiede, ove il pedone anziché accorgersi con l’ordinaria diligenza della presenza di un tombino sporgente, ed evitarlo grazie anche all’ampiezza del marciapiede che avrebbe consentito un percorso alternativo, «abbia invece omesso ogni cautela richiesta dalle circostanze di tempo e di luogo e sia andato ad inciampare nel tombino sporgente a causa esclusivamente della propria disattenzione».

Quindi, secondo la Corte pur ritenendo provato il fatto che il pedone fosse realisticamente inciampato nel tombino, lo stesso presentava carattere innocuo (essendo minima la sua sporgenza), mentre le sconnessioni e il tombino erano visibili al momento dell’evento, mediante l’uso da parte del danneggiato se non dell’ordinaria diligenza, quantomeno dello specifico grado di diligenza richiesto dal generale principio di autoresponsabilità e di correttezza nell’uso della strada pubblica, con riferimento allo specifico atto – percorrenza del marciapiedi – in corso di compimento al momento del sinistro.

Di conseguenza, la Corte ha avuto modo di chiarire che l’imprevedibilità dell’evento – quale elemento idoneo a rompere il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno – non va inteso in termini soggettivi ma oggettivi ponendosi cioè nell’ottica della causalità adeguata rispetto alla quale l’evento assuma, indipendentemente dalla colpa del custode, caratteristiche di inverosimiglianza. Quanto più il pericolo è suscettibile di essere previsto con l’adozione delle normali cautele, in un’ottica di autoresponsabilità, tanto più incidente è l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo fino alla rottura del nesso eziologico di cui all’art. 2051 c.c., in relazione al quale non si determina alcuna ipotesi di danno risarcibile a carico dell’Ente Comunale per omessa custodia del proprio patrimonio stradale.

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