Videosorveglianza della propria abitazione e della strada pubblica: la Corte di Giustizia UE dice la sua

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Il fatto di tenere in funzione un sistema di videocamera installato su un’abitazione familiare allo scopo di proteggere la proprietà, la salute e la vita dei proprietari può essere classificato come trattamento di dati personali “effettuato da una persona fisica per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico” ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 95/46 (…), sebbene detto sistema riprenda anche spazi pubblici?

L’utilizzo di un sistema di videocamera, che porta a una registrazione video delle persone immagazzinata in un dispositivo di registrazione continua quale un disco duro, installato da una persona fisica sulla sua abitazione familiare per proteggere i beni, la salute e la vita dei proprietari dell’abitazione, sistema che sorveglia parimenti lo spazio pubblico, non costituisce un trattamento dei dati effettuato per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati.

A dirlo è la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza 11 dicembre 2014, n. C-212/13

 

Il caso riguardava l’installazione e l’utilizzo da parte di un privato cittadino di un sistema di telecamera situato sotto la cornice del tetto della casa della sua famiglia. Questa telecamera era fissa, senza possibilità di rotazione, e filmava l’ingresso di tale casa, la strada pubblica nonché l’ingresso della casa situata di fronte. Il sistema consentiva unicamente una registrazione video, che veniva immagazzinata in un dispositivo di registrazione continua, un hard disk. Una volta esaurita la sua capacità, questo dispositivo cancellava l’esistente registrazione con la sovraregistrazione di una nuova. Detto dispositivo di registrazione non comportava monitor, cosicché non era possibile visualizzare le immagini in tempo reale. Solo il proprietario dell’impianto di videosorveglianza aveva accesso diretto al sistema e ai dati.

Ma secondo la legislazione italiana, si rammenta che la situazione descritta è perseguibile per il reato di cui all’articolo 615-bis, codice penale

Art. 615-bis.
Interferenze illecite nella vita privata.

Chiunque mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo.
I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato
.

 

Infatti, il proprietario dell’impianto:

– in qualità di responsabile del trattamento aveva raccolto, mediante un sistema di videocamera, dati personali di coloro che circolavano sulla strada o che entravano nella casa dall’altra parte della strada, e ciò senza il loro consenso;

– gli interessati non erano stati informati del trattamento di questi dati personali, della portata e degli obiettivi di tale trattamento, della persona che effettuava il trattamento e del modo in cui tale trattamento era compiuto, né delle persone che avrebbero potuto avere accesso ai dati in questione.

Le legislazioni nazionali relative al trattamento dei dati personali, infatti, hanno lo scopo di garantire il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, in particolare del diritto alla vita privata, riconosciuto anche dall’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dai principi generali del diritto comunitario, anche se deve essere escluso il trattamento di dati effettuato da una persona fisica nell’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico quali la corrispondenza e la compilazione di elenchi di indirizzi.

di Marco Massavelli

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